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LA GUERRA DI CHARLIE WILSON
(CHARLIE WILSON'S WAR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 febbraio 2008
 
di Mike Nichols, con Tom Hanks, Philip Seymour Hoffman, Julia Roberts, Amy Adams, Om Puri, Ken Stott, Ned Beatty (Stati Uniti, 2007)
 

Anche se è dedicato ad un personaggio autentico oltre che tratto dal bestseller di George Crile, l'inizio di LA GUERRA DI CHARLIE WILSON sembra farci credere di stare in un film di Lubitsch o di Billy Wilder: con quello strambo deputato del Texas, sprofondato nudo e sniffato nello jacuzzi di Las Vegas accanto alle tradizionali bionde supertettute di Playboy. E non è che quanto segue non conforti nello spettatore la tentazione d'istallarsi ghiottamente in un clima da messa in burla velenosa di un “certo” mondo politico americano inizio anni Ottanta (e, forse, non esclusivamente americano e non solo anni '80…). Dopotutto, non si tratta di un film del riverito Mike Nichols, autore a suo tempo di pamphlet un filo sgangherati sull'assurdità della guerra come COMMA 22, commedie per quei tempi spregiudicate attorno alla liberazione sessuale, come il notissimo IL LAUREATO, o altre ancora su quella femminista, nell'acuto e finalmente posseduto UNA DONNA IN CARRIERA? Fatto sta che si prosegue per quell'andazzo: a colpi di segretarie clamorosamente affusolate, più che altro incaricate di mescere whisky negli uffici con vista panoramica su Washington. Fino all'incontro determinante, quello del nostro con una delle sue innumerevoli amanti, l'affascinante miliardaria Joanne Hering con l'hobby della strategia politica, oltre che dell'avversione full immersion per i comunisti divoratori di bambini. La coppia Julia Roberts – Tom Hanks è formidabile (e tutta la direzione degli attori; vedi un Philip Seymour Hoffman memorabile nel ruolo giustamente candidato all'Oscar di un intrallazzatore della Cia): su di loro, su un ritmo che da sempre è il segreto di quel genere di commedie, su dei dialoghi così incalzanti da renderne estenuante la lettura, il film sembra avviarsi per i sentieri da sempre gloriosi della farsa graffiante.

Sembra. Perché è da quel momento che LA GUERRA DI CHARLIE WILSON inizia a prendersi sul serio. L'ammaliatrice giunta dal Sud Julia Roberts spiega all'altrimenti in altre faccende affaccendato senatore che il sostegno del governo USA ai resistenti afghani nei confronti dell'invasione sovietica è praticamente risibile: così, da qualche milione di dollari andrebbe perlomeno centuplicato. Detto fatto, Charlie (che, a dire il vero, dallo jacuzzi aveva già occhieggiato un televisore sullo sfondo che mostrava alcune strane atrocità in ambiente esotico) inizia a darsi da fare: cerca addirittura di far collaborare israeliani ed arabi, incontra il presidente del Pakistan che sembra non prenderlo troppo sul serio, si confronta al lassismo dei diplomatici all'estero, scopre addirittura in lacrime la tragedia degli sterminati accampamenti con i profughi nel deserto. E, soprattutto, convince vertici politici e lobby diverse ad aumentare i finanziamenti a quasi un miliardo; oltre che ad addestrare i mujaheddin che, in effetti, finiranno per cacciare i sovietici. Salvo (ma questo il film si limita ad accennarne sarcasticamente solo un attimo prima dei titoli di coda) a cadere notoriamente da quella crudele padella alla tragica brace nella quale gli Stati Uniti e non solo loro si ritrovano da allora.

La mezza riuscita di un film e di un personaggio indubbiamente insolito sta proprio in quella sua doppia anima: sfottere e riderci sopra, prima di piangere con la volontà di fare politica. Forse, per riuscirci ci volevano veramente Lubitsch o Billy Wilder.


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